Månegarm – “Nordstjärnans Tidsålder” (1998)

Artist: Månegarm
Title: Nordstjärnans Tidsålder
Label: Displeased Records
Year: 1998
Genre: Viking/Black Metal
Country: Svezia

Tracklist:
1. “I Nordstjärnans Sken”
2. “Fädernas Kall (Under Höjda Nordbanér)”
3. “Drakeld”
4. “Den Dödes Drömmar”
5. “Nordanblod”
6. “En Fallen Härskare”
7. “Ymer”
8. “Vindar Från Glömda Tider”
9. “Blod, Jord Och Stjärneglans”
10. “Det Sargade Landet”
11. “Tiden Som Komma Skall”

La consacrazione del lupo ad icona tra le più comuni nel pantheon estetico del metallo nero, soprattutto scandinavo, in un certo senso inaugurata nel 1994 dal per molti versi profetico “As The Wolves Gather” e proseguita tra migliaia di altri virtuosi esempi fino ai giorni nostri, si espone nonostante la sua ormai ovvia presenza insindacata a parecchie contraddizioni logiche ad un primo sguardo sorvolabili, ma d’altra parte permanenti nei pensieri senz’altro disfunzionali di chi nel 2023 sottopone la sua musica preferita ad osservazioni approfondite o a tutto tondo.
Certo, tale figura ferina -quando non un vero e proprio animale totem– ha preoccupato svariate generazioni di allevatori atterriti dal suo infausto ululato premonitore di razzie, e di conseguenza ha popolato gli incubi dei loro figli terrorizzati da macabre favole raccontate con tono ammonitorio; eppure, la realtà dei fatti ci parla anche di un animale in verità estremamente sociale nel senso più stretto del termine, devoto al branco ed i cui contatti con l’uomo hanno in seguito condotto al suo addomesticamento in forma di cane da caccia, da guardia ed infine da compagnia; tutte peculiarità difficilmente accostabili ad un movimento di contro votato all’isolamento quando non alla più vera misantropia, alla guerra verso il mondo moderno o intero, e a centinaia di altri slogan più o meno credibili lanciati durante interviste e comunicati dai nostri gruppi preferiti. Alle volte però le circostanze vengono in effetti sovvertite, ed è così allora che un esemplare si stacca dagli altri suoi simili per decantare solitario le proprie nattens madrigaler ad una luna che l’osserva benevola nel freddo cielo nordico, mosso dal medesimo irrefrenabile individualismo per il quale un collettivo di musicanti nato con l’intento non dichiarato di aggregarsi alle sonorità aspre del Melodic Black Metal svedese sceglie, non si sa quanto consciamente, di tentare la strada dell’originalità diventando perciò insperata punta di lancia di una nuova sommossa artistica di portata almeno analoga alla precedente.

Il logo della band

Quando dopo tre anni di militanza e due nastri di presentazione i Månegarm danno infine alle stampe la loro vera opera prima, ormai cinque lustri or sono, lo fanno in un ambiente che proprio in quel momento sta venendo sconvolto da importanti mutamenti. Sicuramente il terremoto a cui un quinquennio addietro avevano dato il là gli storici breakout di Dissection e Necrophobic si fa ancora sentire, ed anzi si concretizza nelle ultime scosse cosiddette melodiche come lo “Slaughtersun (Crown Of The Triarchy)” che consacra il nome dei Dawn nel medesimo maggio del 1998, ma allo stesso tempo è difficile negare che, prossimi ormai al nuovo millennio, la next big thing in terra svedese abbia ora le fattezze di un drakkar con la sua inconfondibile testa draconica dalle cui fauci sbarcano come fiamme, pronti alla razzia, i vari Mitothyn e Thyrfing con le rispettive fatiche discografiche.
Succedutogli di due mesi esatti, “Nordstjärnans Tidsålder” costituisce difatti la seconda parte di un ipotetico dittico inaugurato proprio dal debutto omonimo dello squadrone capeggiato da Patrik Lindgren, uscito anch’esso dalle fucine dei Sunlight Studios sotto le direttive dell’arcinoto demiurgo del Death Metal locale Tomas Skogsberg; abbastanza speculari nondimeno sul piano stilistico, i due album rappresentano tuttavia come pochi altri una Svezia divenuta a quel punto indiscusso epicentro del movimento scandinavo dopo le prime fratture -a dirla tutta più etiche che musicali- occorse nella fondativa Norvegia. Per quanto strano sia a dirsi, l’esplosione di stimoli dilagata ad ovest del Baltico (non ci si scordi, nello stesso anno, gli EP di autentici innovatori dei rispettivi linguaggi come Shining e Funeral Mist) può essere ad oggi identificata quale unico limite effettivo nell’esordio dei Månegarm, alquanto indecisi a differenza dei colleghi sopra citati riguardo la direzione verso cui orientare i loro comunque sinceri e sudati sforzi: trattasi ad ogni modo della classica, diffusissima sindrome della prima volta, quando si rischia sempre di strafare ed i risultati, anche se datati proprio per il loro essere figli di una determinata epoca, mantengono un fascino realmente inesauribile specie per i fan incalliti.

La band

Riascoltato venticinque inverni dopo, ciò che davvero colpisce di “Nordstjärnans Tidsålder” è l’equilibrio a dir poco perfetto con il quale vengono calibrati i due principali tratti distintivi perseguiti già nel 1998 da Erik Grawsiö e compagni. Il five-piece di Norrtälje, composto da per lo più ventenni e pertanto del tutto giustificabile nel suo volersi inserire in correnti già precostituite, non tradisce in realtà né la piena aderenza ai canoni di alcuno dei capolavori conterranei, né l’altezzosità d’invertire assiomi consolidatisi negli anni sin dalla prima apparizione su full-length; agli ascoltatori dell’epoca, insomma, un simile debut deve essere suonato come una mosca bianca attratta tuttavia dalla stessa magnetica luce blu irradiata dalla sua come da mille altre copertine svedesi, e l’ensemble dietro di esso un novero di menti insondabili sulle cui prossime mosse nessuno avrebbe potuto scommettere alcunché. Il fatto che poi i Månegarm abbiano effettivamente inaugurato un percorso all’insegna dell’evoluzione, a cominciare dalla scomposizione dell’esordio prima nella ferocia di “Havets Vargar” e poi nel pathos di “Dödsfärd”, è pertanto un fattore accidentale che nulla ha a che vedere con un disco bilanciato, acerbo quanto si vuole nel suo songwriting non immediatissimo eppure capace alla grande di regalare i primi bagliori di magia incisi su supporto audio dal monicker.
Preso a sé stante, ognuno dei brani inclusi potrebbe al contempo illuderci di trovarci innanzi ad un’ennesima ricapitolazione dello Swedish-sound novantiano ed avvisarci di tener d’occhio un act destinato a grandi cose, come fanno ad esempio alcuni fantastici trait d’union tra carica estrema e lampi di quello che ad oggi definiremmo senza colpo ferire Pagan di gran classe: “Fädernas Kall (Under Höjda Nordbanér)”, lo spettacolare saliscendi ritmico tra sassaiole in blast-beat e soavi vocalizzi femminili curati da Ymer Mossige-Norheim lungo “Den Dödes Drömmar” e la prima di numerose pennellate vincenti ad opera del violinista Janne Liljequist su “Blod, Jord Och Stjärneglans” sono l’estuario che separa il burrascoso torrente Melodic Black dal mare aperto solcato dalle maestose imbarcazioni vichinghe che i Månegarm, con sorprendente dimestichezza, sanno imprimere sul pentagramma tanto nel loro inquieto veleggiare, veicolato dall’arcigna “Nordanblod”, quanto nell’incanto di una “Ymer” che la band si porterà dietro da qui in avanti, dando origine ad una serie di intermezzi e gran finali acustici divenuti loro marchio di fabbrica riconosciuto almeno quanto il loro particolare suono crocevia di nero, pagano, vichingo e folkloristico.

Forse però, come a ribadire di nuovo l’idea d’involontaria predestinazione alla gloria per questi musicisti, è la “Det Sargade Landet” risalente al demo “Ur Nattvindar” dell’anno precedente ad incarnare il gioiello più splendente nel lotto di ottimi pezzi affidato alle mani dell’olandese Displeased Records, con quella scrittura a momenti lambente l’ipertrofia ma culminante in extremis nel magico epilogo di struggente semplicità Folk; in essa si reifica dunque un album di luci e ombre il quale non aveva alcun bisogno di essere perfetto nel senso strettamente formale, ma necessitava al contrario di fare rumore a sufficienza per essere udito dentro la foresta svedese nella quale gli alberi stavano cadendo ormai con una certa frequenza, e dove riuscire a sentirne uno nello specifico nell’anno di grazia 1998 era diventato ormai difficile. A tale scopo “Nordstjärnans Tidsålder” ha funzionato alla meraviglia grazie alla sua natura ingannevole capace appunto di farsi forza motrice, assieme a due seguiti altrettanto riusciti ed importanti, dell’interesse del pubblico per un altro lustro fino alla chiusura del cerchio sulla compilation “Vargaresa”, ultima tappa prima del definitivo approdo dei Månegarm nell’empireo del settore. Lo sporco lavoro dei migliori debutti viene quindi espletato in silenzio, con soltanto la musica a porre le basi di qualcosa di magnifico, e la saga di eroi contemporanei di nome Erik Grawsiö, Markus Andé, Pierre Wilhelmsson, Jonas Almquist, e di quel primo lupo rimasto senza branco può, da qui, finalmente avere il suo inizio…

Michele “Ordog” Finelli

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